Il Cilento al centro di RavelloLab 2016

Giuseppe Di Vietri

Zuchtriegel sottolinea la debolezza delle strutture del territorio, il degrado delle aree circostanti e la necessità di rinforzare i siti minori

RAVELLO. Spesso sentiamo dire che con la cultura non si mangia. Sarà vero? L’immaginario collettivo, in maniera del tutto fuorviante, coltiva questa impressione. Innanzitutto c’è da sottolineare come il novero delle industrie culturali e creative non si limita a quelle attività artistiche tradizionali (arti visive e performative, musica, cinema, letteratura etc.) ma vede ricomprese tutte quelle che producono e distribuiscono beni e servizi legati a una specifica forma di  espressione culturale; quindi trovano ingresso il settore del turismo culturale, quello dell’artigianato, dell’industria del gusto etc. In secondo luogo c’è da rilevare come le ICC siano globalmente in espansione ed è stato calcolato come il patrimonio culturale sia in grado di generare 26,7 posti di lavoro indiretti per ogni occupato diretto. Quindi con la cultura non solo si mangia, eccome, ma costituisce anche un driver di sviluppo per i territori non solo generando reddito ma anche attraendo investimenti; anche per il Cilento che ha risorse culturali enormi. In questo senso va la Commissione Europea con la Strategia Europa 2020 attraverso una serie di strumenti e di programmi finalizzati a favorire un approccio integrato al patrimonio culturale, nuovi modelli di governance partecipativa della cultura e lo sviluppo delle industrie creative. Proprio di “Cultura e Sviluppo: progetti e strumenti per la crescita dei territori” si è parlato nell’undicesima edizione di Ravello Lab – Colloqui internazionali promosso dal Centro Universitario Europeo per i Beni Culturali e da Federculture. Una tre giorni, quella di Ravello conclusasi sabato 22, in cui rappresentati del MiBACT e del MiPAAF, amministratori, studiosi, operatori e stakeholder si sono confrontati su questi temi soffermandosi più volte, nel bene e nel male, sul Parco Nazionale del Cilento-Vallo di Diano-Alburni: un territorio con valori universali riconosciuti dall’Unesco su cui poter creare welfare, cittadinanza e sviluppo, come indicato da Maurizio Di Stefano, Presidente dell’ICOMOS Italia. Per creare sviluppo attraverso la valorizzazione del patrimonio culturale e in particolare dei siti Unesco vi è la necessità, come è stato più volte sottolineato anche dall’Ambasciatore Francesco Caruso, di una strategia e di una buona gestione che coinvolgano non solo la core zone del sito ma anche il suo intorno, come la perla e la valva che insieme formano l’ostrica; ciò perché i riconoscimenti Unesco sono riconoscimenti d’area che funzionano solo se irradiano e se si completano con il territorio circostante: il contesto racconta del sito e fa parte pienamente dell’offerta culturale e turistica. In questo senso il direttore di Paestum Gabriel Zuchtriegel ha sottolineato come soprattutto i turisti stranieri, che non fanno distinzione tra il sito in senso stretto e quello che lo circonda, rimangono colpiti in negativo dal degrado circostante, dalla prostituzione sulla litoranea, dalla spazzatura, dalla pubblicità, dall’abusivismo edilizio. Anche se per quest’ultimo aspetto, Giovanni Villani della Soprintendenza salernitana ha indicato come il fenomeno non riguardi tanto l’abusivismo ma la scarsa qualità dell’attività edilizia su cui non vi è stato controllo dei Comuni che si sono limitati sono a controlli urbanistici.
E’ emersa quindi nel dibattito la necessità di favorire l’elaborazione dei piani di gestione quali unici strumenti per la valorizzazione: un sito culturale senza un piano di gestione è come un’azienda senza un manager. Punto debole del meridione è quello di insegnare a fare e ad attuare i piani di gestione e, nel caso cilentano, si aggiunge anche il problema dell’eccessiva frammentarietà dei livelli decisionali essendo un’area con ben 80 Comuni e una densità abitativa di circa 84 abitanti per kmq rispetto ai 280 della Provincia di Salerno: questo è un elemento frenante perché bisogna far convivere più strumenti di gestione del territorio e far dialogare più livelli istituzionali e centri decisionali. Fabio Pollice, con un intervento tanto conciso quanto efficace, ha sottolineato il grave problema delle competenze: i territori non rispondono perché la maggior parte è sprovvisto di competenze e pertanto vi è la necessità di fare empowerment territoriale accrescendo ed attraendo competenze e non calando i progetti dall’alto. In tal senso anche il giornalista Paolo De Nigris ha sottolineato le problematiche della capacity building ossia quel processo continuo di miglioramento degli individui in ambito economico, istituzionale, manageriale ed ha individuato nel Cilento un caso emblematico in cui dover intervenire per ridurre la frammentarietà e la conseguente difficoltà di integrazione verticale ed orizzontale; ciò anche ricorrendo al PON Governance e Capacità Istituzionale 2014-2020, lo strumento nazionale che punta ad ammodernare e a rendere efficienti le amministrazioni e gli organi periferici dello Stato con un dotazione di oltre 827 milioni di cui l’80% dedicato alle Regioni in ritardo di sviluppo. Tutto ciò anche per affermare la cultura del risultato come metodo di lavoro e quindi la pratica della rendicontazione e del monitoraggio evitando di fare, come purtroppo ancora avviene, che si facciano Piani Urbanistici Comunali senza aver studiato e rendicontato i risultati dei vecchi Piani Regolatori Generali. Il ruolo dei decisori pubblici deve essere orientato anche alla creazione di contesto, in maniera tale da riuscire a coinvolgere la comunità con modelli partecipativi ma anche creando quella certezza nelle regole, negli assetti e nelle procedure tale da favorire quell’ecosistema utile al privato, sia che voglia partecipare direttamente nelle attività di valorizzazione sia che, di riflesso, punti alla creazione di start up e alla localizzazione di attività produttive.
Anche in questo senso Zuchtriegel, il quale ha segnalato come le difficoltà di rispondere alle esigenze della progettazione e della pianificazione nascono soprattutto dalla debolezza delle strutture sul territorio, delle singole realtà individuali. Ciò comporta, secondo il direttore pestano, che prima di puntare alla rete, alle integrazioni, ai progetti, che sono comunque l’obiettivo comune, noi dobbiamo rinforzare le singole realtà sul territorio. Inoltre il direttore austriaco ha sottolineato come i piccoli siti, così come quelli di Elea-Velia e della Certosa di Padula hanno sì la necessità di un approccio manageriale ma devono anche essere rinforzati con risorse, personale e attrezzature per poter adempiere a tutte le proprie esigenze. Fermo restando che devono aprirsi al territorio circostante e che il territorio circostante si apra ai siti perché se i siti Unesco sono riconoscimenti d’area, deve sussistere una responsabilità d’area.
Ulteriore problematica sulle infrastrutture materiali e immateriali dei territori riguarda la partecipazione; infatti il piano di gestione può anche essere fatto dalla migliore società ma se non è realizzato dal basso, sia istituzionalmente che socialmente, rischia di essere scollato e non funzionante e, in questo senso, è necessario un processo identificativo delle responsabilità in cui di fondamentale importanza è il ruolo delle Regioni. La tutela e la valorizzazione devono partire dalle comunità locali, le quali devono partecipare e non subire i vincoli. E’ di fondamentale importanza la partecipazione delle comunità locali e, anzi una delle gravi deficienze istituzionali è il mancato utilizzo di modelli partecipativi al fine di creare un contesto fertile in cui poter operare perché, come ha sottolineato Pietro Petraroia della Scuola di specializzazione Beni Storico-Artistici dell’Università Cattolica di Milano, è sulle motivazioni che si denota la sostenibilità di un progetto. Sul punto anche Adriano Paolella che ha portato le esperienze che Italia nostra sta conducendo sulla gestione e la valorizzazione dei siti a scarsa attrattività.
Ultimo aspetto di estremo interesse riguarda quello della mappatura dei territori, un’abitudine che è stata persa con la conseguenza che poco sappiamo delle nostre risorse in ottica di prossimità. Mappatura delle risorse e delle opportunità che non deve riguardare solo i luoghi fisici ma anche il paesaggio attivo, le iniziative, le associazioni, gli attori etc. al fine di un loro coinvolgimento nella definizione dei piani di gestione. Come indicato da Alberto D’Alessandro, membro del Consiglio di Presidenza del Movimento Europeo, bisogna coinvolgere i giovani facendoli partecipare ai tavoli di lavoro. Coinvolgere soprattutto i giovani, perché oltre a porre le basi per un ricambio generazionale, essi sono portatori di ciò che manca nel settore pubblico: ossia creatività e competenze.

Condividi questo articolo
Exit mobile version