Le rovine della Chiesa di Santa Maria degli Eremiti: la coscienza della mancanza

Redazione Infocilento

“La vista delle rovine ci fa fugacemente intuire l’esistenza di un tempo che non è quello di cui parlano i manuali di storia o che i restauri cercano di richiamare in vita. È un tempo puro, non databile, assente da questo nostro mondo di immagini, di simulacri, di ricostruzioni, da questo nostro mondo violento le cui macerie non hanno più tempo di diventare rovine. Un tempo perduto che l’arte talvolta riesce a ritrovare.”


Così, l’antropologo dei “non luoghi” Marc Augé descrive l’enorme potere che ancora oggi posseggono le rovine all’interno della contemporanea cultura della fugacità e dell’immediato, quasi queste fossero libere per sempre dalle grinfie della deperibilità, ridotte come sono ad essere senza tempo, o meglio ancora fuori dal tempo lineare della storia che le spingerebbe in avanti fino a farne dimenticanza, inutilità.
In quel paese del Cilento dedicato al Santo Magno Vescovo e martire perseguitato, lungo la via dei mulini che qui parte per concludersi nel piccolo borgo di Valle Cilento, hanno sede le rovine della Chiesa di Santa Maria degli Eremiti, ed è presso i suoi scorci di infinito che riscopriamo l’atemporalità che può governare sulle pietre che la vita non ha corroso.
Quando nell’VIII secolo i monaci basiliani vi s’insediarono, il Monastero che oggi sopravvive alle frane e all’acqua che inonda le falde di questo territorio, era il centro di una vita fatta d’una fratellanza cenobitica ed ordinata, che tuttavia non escludeva la familiarità degli incontri con le genti del luogo, devote al Santo che da il nome al paese.
Si tratta di ferite aperte nella storia di questi luoghi, che dall’ordine dei basiliani al sinodo diocesano cavense del 1590, di cui è sede oggi la Badia di Cava de’ Tirreni, rimasero carne viva fino alla fine del XIX secolo, come testimonia il campanile ancora tutto intero, che richiamava i cittadini alle funzioni e alla preghiera.
Sospese in un’epoca di cui oggi sono traccia sparsa e memoria, le rovine della Chiesa di Santa Maria degli Eremiti hanno però un’ulteriore funzione: riscendo a sfuggire, per questa loro condizione, al tempo reale, risvegliano nell’osservatore la “coscienza della mancanza”, dell’assenza, di qualcosa che somiglia ad un mistero non svelabile eppure da svelare, risvegliano cioè il senso del prezioso e dell’imperituro, quasi a ricordarci che il passato che va in rovina non muore.

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