Cilento, la “Candelora”: la benedizione dei “ceri” e la “proverbialità”

Giuseppe Conte

La ricorrenza della Candelora: ecco usi e tradizioni in Cilento.

Il mese più corto dell’anno riserva due importanti ricorrenze legate alla fede cristiana: la Candelora e San Biagio. Il 2 febbraio si celebra la “Presentazione al Tempio di Gesù” che, popolarmente diviene la “Candelora”. La festività riconduce alla “luce” emblema per eccellenza nella simbologia cattolica e, proprio in tal occasione, si manifesta in modo esplicito con un antico rituale: la benedizione delle candele, usanza da cui trae il nome.

Pur essendo cardine tra le celebrazioni imposte nella Chiesa Cattolica, la “Candelora” rappresenta una ricorrenza di carattere popolare che riaffiora tra le peculiarità della tradizione contadina. È d’uso, dopo la benedizione, portare a casa un cero, augurio di buon auspicio e a cui si affida la prosperità dei raccolti a partire da questa prima parte dell’anno. Anticamente, tale ricorrenza, segnava il “confine” tra l’inverno e la primavera, seppur secondo la suddivisione astronomica siamo ancora nel bel mezzo della stagione fredda. Tale ripartizione poneva in essere la necessità di identificare il passaggio tra una stagione e l’altra con una importante ricorrenza religiosa, come spesso accade nei cicli agricolo-pastorali, al fine di “garantirsi” l’immunità da carestie, affidandosi – contestualmente – alla fede. Ed è proprio questa considerazione che ricalca l’origine della “Candelora”, riconducibile senza dubbio a più antiche credenze esistite fin dai tempi passati.

Restando nell’ambito puramente “meteorologico”, la proverbialità della “Candelora” fa riferimento proprio a quest’ultimo aspetto: “quanno vene la Cannelora ra (+lu) vierno simo fora(/e) ma si chiove o mena viendo quaranda juorni re maletiembo”, recita una delle versioni che insistono nell’intera nazione. In contrasto con altre varianti: “si chiove a Cannelora ra lu vierno simo fora ma si neveca o mena viendo quaranda juori re maletiembo” che spesso convivono anche all’interno dello stesso territorio, annientando di fatto, la veridicità e pure la sola interpretazione. Un elemento assai suggestivo presente nei “detti cilentani”, è la personificazione delle ricorrenze che, spesso, sfocia proprio nei proverbi: “la befania ogni festa porta via; responne la Cannelora: nge so io angora”. Osservando quest’ultimo, si evince l’importanza della Candelora la quale viene paragonata ad un’alta solennità come l’Epifania. Mutando nei significati pur rientrando nella stessa sfera tematica, i proverbi del Cilento si accostano a quelli dell’intera nazione e in particolare della zona partenopea: ‘a Cannelora Viern è for! responn San Biase: Viern mo’ tras! dice a vecchia dint’ a tan: ‘nce vo’ ‘nata quarantan! cant’ o monac dint’ o refettorio: tann’ è estat quann’ è Sant’Antonio!” che si traduce in: alla “Candelora l’inverno è finito”; risponde San Biagio (che ricorre il giorno seguente) “l’inverno ora inizia”; dice la vecchia dentro la tana “ne mancano ancora 40”; canta il monaco dal refettorio “l’estate arriva quando viene Sant’Antonio”. Dunque, anche una disamina superficiale, mostra le disparità che emergono nell’analisi di questi proverbi sia nel raffronto locale sia in quello a scala regionale e nazionale. Conclusa questa breve disamina, ancora una volta rimane vivo il tramando delle tradizioni e con esso “il canto di una lingua” che restituisce sfaccettature secolari appartenenti alla quotidianità del Cilento.

Condividi questo articolo
Exit mobile version