Il “cilentano”, una lingua “viva” da tutelare

Giuseppe Conte

Il dialetto cilentano. Cos’è e perché va tutelato.

Difficile stabilire con esattezza quando nasce una lingua, più facile è rendersi conto quando essa tende a morire o semplicemente a cadere nel dimenticatoio. È il caso dei dialetti, messi a dura prova dallo scorrere del tempo. Cos’è un dialetto? Domanda a cui è quasi impossibile dare una risposta corretta. Convenzionalmente il termine “dialetto” calza la definizione di “varietà di una lingua” e più sistematicamente come “lingua in contrapposizione ad un’altra”. Seppur la linguistica accetti la prima accezione come parzialmente risolutiva, è indubbio che la seconda possibilità sia una definizione più appropriata. Ciò è dettato semplicemente dal fatto che, gli idiomi che noi etichettiamo come dialetto, non sono null’altro che una “lingua locale” secondo una visione oggettiva; gran parte dei dialetti italiani, compreso il cilentano un tempo erano lingue alla pari dell’idioma nazionale: l’italiano è una lingua romanza basata sul fiorentino letterario usato nel Trecento. Dunque, fino alla sua elevazione a lingua nazionale aveva le stesse caratteristiche delle parlate che oggi definiamo “dialetto”.

Il territorio su cui insiste il “cilenanto” ha tantissime pagine di storia. Nello stesso spazio si sono susseguite diverse civiltà naturalmente con le loro lingue. Per lunghi periodi il Cilento è stato in “balia” di diverse culture e solo lentamente si è formata una “parlata” che ha accomunato in minima parte le comunità locali dal punto di vista linguistico. Il “cilentano”, dunque, non è databile e bisogna per tanto parlare di una lenta e progressiva formazione. Il “cilentano”, così come lo si intende oggi, è il risultato di continue influenze, ognuna delle quali ha lasciato le proprie tracce nella lessicologia locale, rendendo possibile la formazione di un idioma ricco e variegato. Poggia su strati linguistici che vanno al di là delle grandi civiltà del mondo antico. Secondo alcune ipotesi, in primis l’antico celtico che avrebbe reso la sua lingua dapprima alla topografia locale, a partire dal fiume che solca questo lembo di terra, di cui ne ha segnato i confini e anche la storia. Si tratta dell’antico Hales, così denominato solo sotto i greci, ma ancor prima, probabilmente, trae etimologia dal celtico “al – lign”, da cui si sono susseguiti i vari appellativi, adattandosi alle esigenze linguistiche dei colonizzatori di turno.

Studiare un dialetto è impresa ardua, tanto più se si tratta di un dialetto di cui si ha poca storiografia e meno ancora materia prima su cui lavorare: i parlanti sono sempre di meno e allo stato attuale l’idioma con cui dialoghiamo comprende solo una minima parte del lessico originale. Inoltre, i mutamenti sociali avvenuti a partire dagli inizi del XX secolo, ne hanno minato la genuinità, contaminando talvolta irreparabilmente una vasta serie di settori terminologici. È il caso di quelli più arcaici, ormai raramente riscontrabili anche fra i parlanti più anziani: per esempio “crai”/domani sostituito con “rimani”e di “vavito”/tuo nonno sostituito con nonnito.

Allo stato attuale volendo avviare un ricerca costruttiva sul campo e in maniera pratica risulterebbe quasi inutile. È difficile rintracciare numerose parole che hanno caratterizzato il nostro dialetto. Del resto, sarebbe una impresa più che impegnativa. Ogni comunità del Cilento ha sviluppato un proprio sistema linguistico che spesso differisce in gran parte anche tra centri posti a poca distanza tra loro. È per questo che il dialetto cilentano più che tale è da intendersi come una “rete linguistica” accomunata solo dalle elementari basi grammaticali e non sotto l’assetto terminologico.

Come tutelare questo patrimonio culturale? Nel piccolo attuando iniziative utili alla sua diffusione: convegni e seminario non bastano. La promozione a livello territoriale deve inserirsi nella cultura locale: il dialetto a scuola, la consapevolezza dello stesso, la valorizzazione letteraria. Significativa, tra le altre, la “Giornata Nazionale del Dialetto e delle lingue locali” promossa dall’UNPLI (Unione Nazionale Pro Loco d’Italia) che si tiene in Gennaio.

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