Agropoli, storia di un ospedale tra intrighi e spot elettorali

Ernesto Rocco

Dopo due anni riapre, forse. I dubbi sono d’obbligo visto che la vicenda dell’ospedale civile di Agropoli è intricata e ricca di colpi di scena. Lo fu già a partire dal 2004, anno in cui l’allora presidente della Regione, Antonio Bassolino, con il suo vice, Antonio Valiante, inaugurò in pompa magna la struttura. Una iniziativa vista da molti come uno spot elettorale considerato che poco tempo dopo si sarebbe andati alle urne per il rinnovo del consiglio regionale. Le elezioni sancirono la conferma dell’amministrazione di centro sinistra.

Un peccato (almeno per l’ospedale di cui parliamo), considerato che appena tre anni dopo, nel 2007, i cittadini furono costretti a scendere in strada per convincere gli stessi autori dell’apertura del presidio a non declassarlo. Servì a poco poiché un anno dopo, nel 2008, arrivò la firma da parte di Bassolino del primo decreto che sanciva l’uscita del nosocomio di Agropoli dalla rete dell’emergenza. A salvarlo non servì neanche il cambio della guida della regione, passata nel 2010 al centro destra. I due schieramenti diedero vita ad una campagna elettorale ricca di scambi d’accuse. Su una cosa, però, si era d’accordo: la chiusura dell’ospedale di Agropoli.

Fu così che Stefano Caldoro, seguendo la scia del suo predecessore, firmò il famigerato decreto 49 del 2010. Da allora fino al 2013 si sono vissuti tre anni di passione in cui i cittadini sono stati volte chiamati a scendere in piazza per evitare la dismissione di una struttura che, paradossalmente, vantava gli accessi al pronto soccorso più alti del comprensorio. Nella primavera del 2013 l’attuazione del provvedimento di conversione dell’ospedale in Psaut targata Caldoro-Squillante. In quelle settimane si sono vissuti giorni tribolati e ricchi di colpi di scena. L’ospedale chiude, anzi no. Da un lato i provvedimenti dell’Asl, dall’altro quelli del Tar che, intervenuto sulla questione grazie ad un ricorso presentato dal comune di Agropoli, teneva in vita con cure palliative, un malato terminale. Da qui al decesso, però, è passato poco. Conclusa l’estate, infatti, anche il tribunale amministrativo si è allineato con Asl e Regione e con la fine di settembre cessò anche la vita dell’ospedale civile di Agropoli.

Mai dismissione fu così veloce: in pochi giorni, forse ore, via le insegne, i cartelli e le attrezzature. Di quello che fu l’ospedale con il maggior numero di accessi del territorio non restava che un immobile e tre ambulanze con a bordo medici ed infermieri con il compito di stabilizzare il paziente e trasferirlo in altro comune che potesse vantare un ospedale, o meglio che potesse garantire ai suoi cittadini il diritto alla salute.

Già, perché il problema è proprio questo: dall’1 ottobre 2013 chi necessita di cure è obbligato a interminabili vie crucis per Vallo della Lucania, Eboli, Battipaglia, Roccadaspide o altre strutture del territorio, rese più lontane anche da una viabilità colabrodo. Da due anni ogni decesso è accompagnato dalla domanda: “Poteva salvarsi se l’ospedale fosse stato aperto?”. Accadde così nel febbraio 2014 quando in un incidente sulla Cilentana si registrarono quattro morti; quando un anno dopo un uomo di Perdifumo è morto a causa dei ritardi delle ambulanze; quando nel marzo scorso una donna di Sapri spirò a pochi passi da Agropoli mentre l’ambulanza tentava di raggiungere il nosocomio di Eboli e infine quando, appena una settimana fa, Annamaria Tassi, 39enne di Agropoli, ha perso la vita, colta da un infarto, mentre i sanitari cercavano di trasportarla all’ospedale di Battipaglia.

Dopo sette morti sospette, e probabilmente tante altre non passate agli onori della cronaca, il nuovo governatore della Regione, Vincenzo De Luca, ha annunciato di essere al lavoro per far rientrare l’ospedale di Agropoli nella rete dell’emergenza. Una nuova speranza per il territorio che da tempo ne chiedeva la riapertura. Eppure anche l’ultimo annuncio, peraltro avvenuto in un periodo ormai lontano dalla campagna elettorale, ha sollevato polemiche. Ci ha pensato la parlamentare grillina Giordano che ha parlato di “Scambio di piaceri” tra De Luca e Alfieri e ancora di “Un piacere che il neo governatore in bilico deve al sindaco di Agropoli per aver ritirato la sua candidatura a consigliere regionale”. “Basta speculare sulla salute dei cittadini”, dice la Giordano. Non ha tutti i torti: peccato che in passato, però, le levate di scudi sull’argomento non ci siano state.

Eppure l’ospedale di Agropoli è stato sempre al centro degli spot elettorali, anzi è nato proprio come uno spot elettorale nel 2004: fu protagonista di tante promesse nel 2010, e la sua riapertura venne annunciata dagli stessi fautori della sua chiusura nel maggio 2015, ad una settimana dalle elezioni. Nessuna condanna arrivò per questi proclami, né dalla politica, né dai cittadini che, eccezion fatta per le ultime consultazioni, hanno anche premiato chi ha previsto la chiusura del nosocomio cittadino. Emblematico il caso di Angelo Montemarano, assessore regionale alla sanità della Giunta Bassolino, confermato a pieni voti dai cittadini agropolesi (su consiglio anche di politici locali) nonostante fosse tra i fautori dell’uscita del nosocomio dalla rete dell’emergenza.

Forse per la prima volta un proclama riguardante l’ospedale è arrivato lontano dalle elezioni. Ciò lascia ben sperare perché, critiche a parte, come ha sottolineato anche Giovanni Basile, a capo del comitato civico pro ospedale, non importa chi restituisca il diritto alla salute ai cittadini dell’Alto Cilento e per quale motivo, ciò che conta è che il territorio riabbia il suo presidio, quello con gli accessi più alti del territorio, quello che serve un’utenza di ottantamila persone, che quintuplicano nel corso dell’estate.

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