Cultura

Stazioni abbandonate, la gestione comune per riportarle in vita

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Le crisi come punto di partenza. Le crisi come momento per rivoluzionare se stessi. Mesi fa, InfoCilento approfondì con un interessantissimo reportage il tema delle stazioni ferroviarie fantasma. Albanella, Ogliastro, Rutino, San Severino di Centola, Polla, Padula, Teggiano, Buonabitacolo, Auletta. Di binari abbandonati ne è pieno il Cilento. A onor del vero, conteggiando anche le strade inaccessibili o franate,

sembrerebbe quasi che sia tutto il Cilento ad essere stato abbandonato dalle istituzioni.
Volgendo però lo sguardo alle stazioni inattive e tralasciando i motivi che hanno portato nel tempo al loro pensionamento, sarebbe bello ed anche opportuno immaginare almeno un futuro a questi luoghi di scalo. Ma il futuro, come sempre, non può esistere se non si comprende l'importanza del passato. Un tempo, queste stazioni ormai fantasma rappresentavano il segno visibile dello sviluppo industriale. Oggi, l'emblema dell'arretratezza e dell'isolamento di un Cilento troppo lento (manco a volerglielo leggere nel nome!).
Accantonando in un angolino il romanticismo e la nostalgia, quei binari hanno davvero scritto i destini di molti cilentani. Dopo la seconda guerra mondiale ad esempio, nei pressi della stazione di Torchiara, venivano lanciati dai treni in transito i prodotti che poi altri uomini appostati nelle vicinanze destinavano al mercato nero. Negli anni Cinquanta tanti treni hanno fischiato nelle gallerie scavate a pochi metri dal mare. Quegli stessi fischi hanno sintetizzato il pianto malinconico di chi emigrava verso le città del nord e, di contro, il pianto di gioia di chi tornava a casa.
Oggi in molte di quelle stazioni i treni non fermano più e regna il silenzio triste e desolante dell'abbandono.
Al di là del valore materiale, le stazioni abbandonate potrebbero ben rappresentare esempi di quella che la più rivoluzionaria dottrina giuridica chiama "beni comuni". Dovrebbero farlo perchè rappresentano luoghi appartenenti al bagaglio sociale, storico e culturale della comunità. Come lo sono, alla stessa maniera, i porti. Per la loro capacità di essere bacini di raccolta di storie umane, questi luoghi sono beni comuni. Ed in quanto tali debbono prescindere dal semplicistico binomio pubblico/privato del modello proprietario. Per questi motivi la comunità deve riappropriarsi di tali luoghi.
Ed allora ecco la soluzione prospettata (oltre alle poco realistiche idee di riqualificazione mediante carovane in grado di funzionare elettricamente su quelle stesse rotaie, idee forse troppo all'avanguardia rispetto alla mentalità dei nostri amministratori!), fortunatamente avallata dalla RFI, "proprietaria" degli immobili ferroviari: le associazioni, i giovani volonterosi (più che volontari!), le comunità locali, possono acquisire in comodato d'uso gratuito le stazioni ferroviarie abbandonate provvedendo solo alla manutenzione e sottraendole quindi alle condizioni di degrado e fatiscenza a cui il tempo ingrato ovviamente le sottopone.
Nel 2014 sono state circa 50 le esperienze del genere. Alcune stazioni sono diventate sedi teatrali, altre orti comuni, altre sedi di associazioni culturali, radio e pro-loco. La stazione di Riomaggiore, in Liguria, è diventata, ad esempio, la sede del parco naturale delle Cinque Terre.
Esempi di civiltà, di cittadinanza attiva. Significa creare, innovare.
E se non possiamo far viaggiare le persone, facciamo almeno viaggiare le idee.

 

 

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