Cultura

La storia di Don Carlo, missionario di Acciaroli

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Nei ruggenti anni 1960 la marina di Acciaroli, oggi accorsa e prestigiosa località turistica campana, registrò la significativa incidenza, anche in termini di stimolo per un decisivo sviluppo socio-religioso, dell’azione di don Carlo Grangetti. Già dal 1957 egli era presente in Acciaroli con la sua opera umana e pastorale, volta a garantire sostegno anche alla crescita civile del borgo. Era rimasto ammaliato da Acciaroli in uno dei suoi viaggi che la malattia lo obbligava a fare. Qui è restò fino alla sua dipartita, con grande senso di rispetto verso tutto e tutti.La prima sollecitazione all’apertura nei confronti di una realtà nuova e l’intuizione di una sicura crescita legati al turismo balneare partirono dall’arguta e attenta riflessione di don Carlo. Il prete piemontese praticò, sin dal lontano decennio Sessanta, i fondamentali dello sviluppo che, grado a grado, con il passare degli anni, hanno poi condotto a risultati concreti nell’ascesa turistica locale.

Questi, quando giunse ad Acciaroli e ottenne la parrocchia della marina, dall’allora Pastore della Diocesi di Vallo della Lucania, Mons. Biagio D’Agostino, scoprì una sconfinata ricchezza nel paesaggio naturale e, parallelamente, una sconvolgente miseria materiale e intellettuale in tutti e in ciascuno. Ripa volle dedicare un suo componimento a don Carlo per le sue opere sociali e filantropiche a favore della gioventù libanese e della gioventù acciarolese. La poesia, poi inclusa nella raccolta dal titolo Immagini, fu pubblicata nel 1976: ?

“Venne dall’Oriente venti anni or sono, approdando ad Acciaroli, allora borgo semplice e desioso di vita. Operò affinchè novella aurora baciasse questa sponda. Mai domo, alato messaggero sui sentieri di fede, recò il canto più bello alla gioventù acciarolese ed ai bimbi..offrendo loro un nido, amore ed assistenza di Pastore. A don Carlo il cielo sorride. E nel tempo rimarrà luce il bene profuso.

Giuntonella vecchia chiesa di “Sancta Maria”, non restò con le mani in mano: si guardò intorno, lesse con grande cuore i bisogni e cercò, nonostante i suoi costanti mal di capo, con tutte le sue capacità e le sue conoscenze altolocate, direttamente o indirettamente, risposte concrete alle domande di tanti fedeli, convinti fino ad allora in un Dio severo e senza grazia. Gli abitanti della borgata erano semplici dentro e fuori, fatti di stanchezza e fame, incapaci di leggere nel domani la parola migliore e poveri di parole, con la faccia pulita e facile al rossore; era gente di rispetto e cominciò a scoprire la bontà di Dio con un prete senza pretese, con il cuore grasso d’amore, Commendatore per forza e non per vocazione, dalla battuta cortese e pronta per arrivare paternamente in ognuno, per iniziare reciproche e fraterne intese e sciogliere con il sole della Fede rapporti prima con Dio e poi con gli uomini. Niente di pretesco lo distanziava, si faceva umile e rompeva sovente, con battute garbate, il silenzio di ghiaccio che la precarietà dei marinai portavano addosso insieme alla timidezza e alla diffidenza.

Da buon poliglotta, sovente, intratteneva conversazioni nell’itinerario che lo conduceva dalla canonica alla chiesa madre, amava richiamare al decoro le belle ed esuberanti bagnanti, manteneva infiniti rapporti epistolari, tramite i quali, otteneva generosi contributi, utili per l’amorevole edificazione delle strutture religiose e sociali.

Don Carlo giunse qui, in questa minuta marina di scarsi fumi, per caso, per volere del fato, per progetto inatteso e divino; arrivò dopo una lunga e faticosa peregrinazione ad Acciaroli nell’estate del 1957, a causa delle sue precarie condizioni di salute, a seguito di diverse soste precedenti effettuate lungo la penisola. Dette condizioni lo inducevano a cambiare continuamente dimora in tutta Italia, dal Nord al Sud. Per il fraticello del Carmelo erano momenti di vera sofferenza. Il buon Dio conduce dove vuole e orienta a scelte particolari utilizzando talvolta pretesti diversi, lontani da quelle mete apparentemente irraggiungibili che ognuno si prefigge.

Il clima, tipicamente mediterraneo di Acciaroli, (le temperature invernali sono generalmente comprese tra i 4° C e i 10° C.; le temperature estive arrivano e superano i 30° C), contribuì, insieme alle linee naturali e urbanistiche dell’abitato, a sollecitare la voglia di permanenza al frate piemontese. Cominciava così quella missione che lo vide sempre in prima fila sia nell’assistenza dei fanciulli, sia in altre attività sociali; intuì la vocazione turistica di Acciaroli e si prodigò per farla conoscere. La sua incessante attività lo portò a realizzare molte opere: l’asilo infantile, con annessa cappella di S. Giuseppe e alloggio per le suore; la casa canonica; l’ampliamento della chiesa. Molti amici da tutta Italia lo aiutarono; si privò anche di una sua proprietà a Sait -Vincent; un aiuto gli venne anche da uomini politici. Qui ha dato tutto se stesso realizzando e ristrutturando diverse opere di utilità religiosa e sociale appunto. Quando giunse ad Acciaroli, era reduce da poco più di un trentennio di attività missionaria tra arabi e turchi; arrivò in questo incantevole posto di mare e dopo aver disfatto povere valige di effetti personali continuò il suo cammino di Apostolato. Giunse ad Acciaroli, nel cuore della costiera del Cilento, ove scoprì superba poesia nel paesaggio e nel cuore dei suoi abitanti. Don Carlo, piemontese d’origine, ebbe a cuore Acciaroli e i suoi abitanti, qui concluse la sua esistenza nel 1985.

Chi scrive lo ricorda, finito all’esperienza terrena, avvolto nelle vesti carmelitane, come per suo volere, e sereno nel viso come in vita. Chi scrive è stato per lungo tempo suo affezionato collaboratore e rammenta la sua parola carica di bene, chiosa, pulita, di paterno sollievo, fatta di tanto conforto e speranza, come le sue gesta sempre colme di amore verso gli altri, quell’amore filiale che sgorgava già per lui dall’addolorato cuore mariano e dal sangue del Cristo, assoggettato al dramma esperienziale della Croce, per la Pasqua dell’uomo. Sapeva bene don Carlo che Acciaroli necessitava di Pasqua, necessitava di vita sia spirituale che materiale e per questo ha profuso, senza limiti, la sua azione indefessa. Di lui resta oggi il buon ricordo nei cuori di quanti lo hanno conosciuto; il coraggio iniettato nel dinamismo quotidiano di chi si appresta alla fatica; la stima, l’ammirazione di quanti l’hanno saputo leggere nelle parole e nelle azioni. E rimane, inoltre, l’amore per i piccoli per i quali ha voluto una casa calda ed accogliente.

Con la sua dipartita don Carlo ha lasciato in quel lontano mese mariano un vuoto incolmabile. Mancano, infatti, ormai da tempo, per i vicoli della marina il suo sguardo di vita e di fede, il suo cuore aperto ai problemi di tutti; manca la prontezza del suo saluto, la disponibilità al dialogo, i suoi paterni e bonari richiami; manca chi, senza farsene accorgere, ti portava in quella chiesa incrostata di salsedine, dove Cristo ancora è abituato alla solitudine, e ti faceva pregare, rapito dallo sguardo luminoso dell’Annunziata, mentre le onde battevano rabbiose contro la battigia e il buio della sera subito accorciava le solitarie giornate. A lui correvano i piccoli della darsena aperta al cielo e nella sua chiesa, come un rito, a corona dell’altare, lo allietavano coi loro impacciati servigi liturgici. Questi topolini di caramelle e ingenui ladri d’ostie, spesso, con l’innocenza propria degli angeli di paese, gli tiravano agli occhi bonarie lacrime di commozione. L’imminenza della festività per lui era buona occasione, considerando il pretesto augurale, per chiedere aiuto e per poterlo poi elargire con smisurata larghezza di cuore e per far ciò, don Carlo dettava le sue centinaia di lettere, colme di sollecitazioni al bene, ingombrava e ingolfava il modesto ufficio postale della marina, scombussolava l’operato di qualche postino e di bonari funzionari di Stato. Era uno stile originale quello di don Carlo, tutto suo, entrava ovunque, parlava con chiunque, smuoveva il cuore, non mollava finché non si aprivano generosi portafogli per garantire ai suoi bimbi un sicuro piatto di minestra e per fare la chiesa più grande e per fare Acciaroli ancora più bella.

Chi scrive lo ricorda nel riflesso di una quanto mai artistica vetrata colorata, nei raggi di luce di un morente sole, in ginocchio prostrato avanti a quel Tabernacolo, posto ancora su un’ancora romana, reperita per caso nelle insenature del nostro mare, con le mani nelle mani, nella recita del Santo Rosario. Quando don Carlo pregava partecipava con tutto se stesso, poneva il palmo talvolta a reggere la sua fronte, quasi a proteggere la fronte dai colpi dell’implacabile mal di capo, mentre assumeva nuove e temporali posizioni di comodo, scompigliava casualmente i suoi bianchi capelli di sano intellettuale; nel corso del suo soliloquio spirituale prendeva le distanze dalla pochezza delle spaziature umane e diventava isola con Lui, quel gigantesco Cristo di legno, senza parole, che sconfina mente e cuore, che ancora oggi ti precipita dentro, ti smuove la coscienza e motiva il tuo esistere in un paese apparentemente senza speranza, ove pure la fede vera è una scommessa con il destino.

E qui, in questo calante sole meridionale, prossimo a morire, il caro don Carlo ha vissuto con grande cuore, giorno dopo giorno ha conquistato l’amore di gente semplice e di più generazioni, il vero bene che si legge negli occhi e che parla la lingua ora del sorriso, ora delle lacrime. Don Carlo qui ha trascorso la sua senilità ed ha conquistato la saggezza degli umili, quella che ti fa scoprire vero innamorato degli altri senza riserve e vincoli, quella che ti fa scoprire il mondo più sano, gli uomini più puliti. La statua mariana gigante (inaugurata dal suo amico, il Cardinale Silvio Oddi, già Prefetto della Sacra Congregatio pro Clericis) posta all’estremità della banchina grande del porto, sconfina con gli occhi oltre l’ignoto orizzonte e sorride benedicente agli uomini di mare.

E’ questa un’altra cosa bella voluta per noi da un prete dimenticato; da un prete che oggi, purtroppo, appare troppo distante nei ricordi degli acciarolesi. Ecco come l’11 settembre del 1965, a soli nove anni dall’insediamento in Acciaroli e dopo trentatré anni di vita missionaria, don Carlo, nell’intervista rilasciata per il Roma, presentava la sua straordinaria avventura: “Partii giovanissimo per l’Oriente, con meta Smirne, in Turchia. Qui fui testimone dell’orrendo e disastroso incendio della città, incendio accompagnato da saccheggi, violenze ed eccidi. Coadiuvai con altri volenterosi, come meglio mi fu possibile, per salvare qualche persona (una diecina) ed in un caso con piena coscienza, ma con entusiasmo, misi a repentaglio la mia vita. A causa di quell’incendio perdetti tutto quello che avevo e così fui costretto a ritornare in patria per alcuni mesi. Ripartii in missione e questa volta approdai nel Libano con puntate varie nella Siria, nella Palestina e nuovamente nella Turchia: rimasi in quei luoghi per ben ventitré anni. Unico intermezzo: una scappata in Italia per obbedienza. Con me, in Libano, furono fatti prigionieri dei francesi, tutti gli italiani residenti nel Libano ai quali, per alcuni giorni, si ebbe la gioia di dare ospitalità nel nostro Convento e ciò fino a quando fummo portati in un luogo deserto della Siria (Draikisc). Eravamo guardati a vista dai soldati senegalesi. In questo campo di concentramento, dove io ero il capo responsabile spirituale per il buon andamento dello stesso campo, tra tanti dolori e vessazioni di ogni specie, ebbi la fortuna di convertire e battezzare sei soldati senegalesi pagani i quali, dopo breve tempo, me ne portarono altri. La prigionia durò un due mesi circa. Finita la guerra, rimisi piede nel Libano per la continuazione della mia missione in qualità di Superiore della stessa. Sfortunatamente l’avanzata degli inglesi dalla Palestina al Libano mi obbligò a far nuovamente rotta per la Turchia, facendo, però, prima ritornare in Italia i miei confratelli.In Turchia e precisamente ad Iskenderun diedi ospitalità a tutto lo Stato Maggiore della Commissione Italiana d’Armistizio dove si trovava per trattare le condizioni di resa con le autorità transalpine. Il Convento e la Parrocchia di Iskenderun furono pure l’ostello di tutti gli italiani profughi dalle terre invase dai britannici e dai francesi. All’inizio di questa mia sosta in Turchia, per ben dieci anni, ebbi la consolazione di essere umile ed affezionato collaboratore dell’allora Delegato Apostolico S. E. Mons. Angelo Giuseppe Roncalli, diventato poi Papa col nome luminoso ed ardente di Giovanni XXIII. Tra le tante cose ricordo che S. E. Roncalli aderì (ed autorizzò con entusiasmo), alla mia richiesta di un Convento Carmelitano Missionario pure in Istanbul, dandomi come mandato la riapertura della Chiesa e Parrocchia di Uskudar (Scutari), roccaforte mussulmana. Siamo nel 1943. Dopo che l’Italia e la Germania ebbero il tracollo, la nostra Missione della Turchia attraversò momenti dolorosi e drammatici. Io, sfidando pericoli gravissimi, difesi e salvai persone e beni. L’Ambasciata Italiana di Ankara, per tali motivi, mi propose la medaglia d’oro di Primo Grado. Il Governo accettò la proposta, ma ridusse l’onorificenza a secondo grado perché nessuno – così mi fu detto confidenzialmente dalle autorità che mi avevano segnalato – fino allora aveva ricevuto simile onorificenza e pertanto non stava bene iniziare da un Frate. (n.r. Il cronista che registrò la presente testimonianza di don Carlo segnalava nel suo scritto che in riferimento a quest’ultimo punto esposto, il sacerdote mirava a partecipare quanto accadutogli senza parvenza polemica). Rientrato in Italia fui Superiore del Santuario di Anzio e Rettore dell’annesso Collegio…dopo di che, causa il riacutizzarsi di malattie avute in missione, consigliato dai Superiori Maggiori e dai medici, ottenni dalla Santa Sede un permesso rinnovato di Esclaustrazione (facoltà concessa a un religioso di vivere temporaneamente fuori dalla comunità); con grande rinuncia spirituale accettai di iniziare da sacerdote secolare una nuova vita missionaria, tra i tanti centri prescelsi, chissà perché, Acciaroli, questa meravigliosa Acciaroli che aveva davvero tanto bisogno di essere aiutata, portata su, essendo priva dei più vitali ed indispensabili elementi di vita”.

Appena giunto in Acciaroli il missionario si adoperò con gran cuore in un’azione di solidarietà a trecentosessanta gradi. Si adoperò e riuscì ad aprire nell’ottobre del 1964 l’asilo infantile. Qualche vecchia copia del Roma del gennaio di quell’anno documenta con suggestive e logore foto e un pezzo di un cronista rileva il tardato arrivo della befana per i bambini dell’Asilo di don Carlo; i piccoli in quel periodo trovavano alloggio nella stessa abitazione del parroco, in una porzione dell’abitato al piano terra, aperta agli scogli e al mare, prospiciente l’attuale porto. Così segnala ai lettori del Roma l’attento cronista di quel periodo: “Come ogni anno il Presidente dell’Asilo, don Carlo Grangetti, ha voluto offrire ai suoi bimbi un pacco dono: la befana è arrivata in ritardo sì, ma sempre gradita”. Anche l’anno successivo, il 1965, per volere del prete buono, i bambini della marina videro arrivare una befana molto affaticata, ma nello stesso tempo radiosa, in un mattino di azzurro, di sole, in un quadro di fiaba. “Cosa ha portato ai quaranta bambini sui cinquantaquattro iscritti? Lasciamo che svuoti il sacco: da esso vengono fuori molti pacchi, due per ciascuno: uno contenente un panettone intero, dolciumi e giocattoli vari, l’altro qualche capo da vestiario (quanti sacrifici per confezionarli). Gran festa hanno fatto i bimbi alla befana. Intanto il ritardo dell’inaugurazione del nuovo Asilo rimanda anche la venuta delle suore scelte da don Carlo: appartengono esse ad una congregazione scolastica, Istituto Scolastico di Nostra Signora, tutta dedita all’insegnamento, dagli Asili Infantili fino agli Istituti Medi Superiori”. Con l’ausilio del Roma di quei tempi e del caro compianto amico e collega Giuseppe Ripa, vogliamo ancora offrire al nostro lettore una nuova testimonianza riferita alla solenne cerimonia dell’inaugurazione del nuovo Asilo di Acciaroli. L’opera ottenne nel lontano 1966, vivi consensi e fu classificata tra le migliori del genere edificate nel Mezzogiorno. “..Per la cerimonia odierna che compendia e premia la tenacia del missionario piemontese don Carlo Grangetti ed esalta l’opera della Cassa per il Mezzogiorno sono scese in Acciaroli molte autorità politiche, religiose e militari ed insigni personalità: un quadro davvero fantastico di esaltante fervore. A dare maggiore risalto alla manife-stazione è stata la folla di paesani. Gli acciarolesi hanno, ancora una volta, risposto all’invito del loro parroco per esternargli tutta la loro riconoscenza ed affetto per quanto ha compiuto per il bene di tutti, per il progresso della marina in questi suoi nove anni di sacerdozio su questa sponda ridente del Cilento. Le campane del tempio di Maria SS. Annunziata si sono associate alla gioia dei cittadini suonando a distesa nella imminenza dell’arrivo di S. E. il Vescovo di Vallo della Lucania, Mons. Biagio D’Agostino e degli altri ospiti. Sono le ore 16.00: l’arrivo di S.E. il Vescovo viene salutato come nelle tante occasioni precedenti, con vivo entusiasmo, con inni di lode: l?incontro con il Pastore avviene alle porte del paese e, precisamente, al di là del ponte poco distante dal bivio che conduce a Pollica. Il pomeriggio è tipicamente primaverile: un bel sole troneggia fra una corona di piccole, bianche nubi in un arco di azzurro che fanno da meraviglioso contrasto con le smeraldine acque del mare anch’esso tornato sereno dopo avere, per alcuni giorni, violentemente battuto la costa. In corteo si va verso l’Asilo. Si passa tra ali di folla plaudente, un vero tripudio. Sullo spiazzale dell’asilo sono ad attendere il Vescovo e le altre autorità, le Suore, i bimbi bene allineati ed altra gente. All’ ingresso del Nido d’infanzia due bimbi dalle sembianze di angioletti reggono il nastro che sarà di lì a poco tagliato da una madrina di eccezione: la distinta consorte dell’On. Fiorentino Sullo, Donna Viretta De Laurentis. Il taglio del nastro avviene tra calorosi scroscianti battimani ed un agitarsi di braccia sullo sfondo di un panorama che assume un aspetto di sogno tra i riflessi dorati del sole quasi al tramonto ed il verde dei colli”. In occasione della cerimonia dell’inaugurazione dell’Asilo infantile di Acciaroli, Sua Santità Paolo VI, volle inviare la Sua benedizione autografa alla comunità acciarolese e all’opera realizzata. Al segno di peculiare rilievo del Santo Padre fecero poi seguito innumerevoli lettere di varie personalità di tutta la penisola. Tra i presenti di allora si segnalano il Maggiore dei Carabinieri di Vallo della Lucania, il Presidente della Pro Loco di Acciaroli, Avv. Luigi D’Amore, gli onorevoli Lettieri e Amodio, il Vicario Foraneo, Mons. Francesco Signorelli, il Sindaco del Comune di Pollica, Vincenzo Patroni, l’Assessore Comunale, Domenico Masarone, il Comandante della Stazione Carabinieri di Pollica, il Dott. Alfonso Palladino, i coniugi Gennaro e Anna Masarone (i donatori delle campane), gli ingegneri Goffredo Di Rienzo e Vincenzo Pappacena (i progettisti dell’Asilo), il Comandante della Brigata delle Fiamme Gialle di Acciaroli, il Duca della Vittoria, Dottor Marcello Diaz, il Dottor Gioacchino Cardano e consorte, l’Ispettore Scolastico della Circoscrizione di Vallo, Dottor Antonio Chianese, il Commendatore Dottor Cardarelli, Prefetto Vicario di Salerno, il Sindaco di Vallo, Professor Rinaldi. Gli illustri ospiti presenti sono stati ricevuti nell’interno dell’asilo da Don Carlo Grangetti; è la festa che consacra i suoi sogni, le sue ansie, le sue infinite tribolazioni; è la festa che schiude alle sue speranze altri vasti orizzonti; è la sagra della più giusta e grande riconoscenza ai suoi meriti, alla sua solerzia. Al recital, tenuto da alcuni bimbi del luogo, hanno fatto seguito i discorsi. L’oratore, Avv. Antonio Cucco, dopo aver fatto rivivere con un fiorito linguaggio le fasi salienti della storia dell’Asilo, specificandone il significato, gli scopi e le finalità, si è rivolto a don Carlo e a tutti coloro che lo hanno aiutato per la compera del terreno e sorretto sempre per mantenere in florida vita il vecchio asilo in casa sua. Quindi ha tessuto elogi per tutti i benefattori, le autorità, i ministri e i parlamentari, che hanno dato modo a don Carlo di avere questo gioiello. L’Avv. Cucco ha poi avuto particolari pensieri per tutti i presenti. Indi ha preso la parola don Carlo. La sua voce è rotta dalla commozione. Mentre don Carlo tesse le sue frasi coi fili di un amore inestinguibile vediamo volti rigati di lacrime e mille mani tese verso di lui. Dopo una breve pausa è la volta dell’On.le Sullo. Egli esordisce col dare atto del suo compiacimento per l’opera realizzata, nuovo e grande passo per l’avvenire di Acciaroli, che pur nel progresso civile, nello sviluppo del turismo, rimanga sempre Acciaroli con le sue bellezze naturali, col suo incanto di semplicità, coi suoi costumi sani, patriottici, cristiani, legata alla Patria, alla Chiesa, alla Scuola, rimanga sempre vicino al suo parroco piemontese, missionario dalle mille avventure che dall’alto scende in basso, dai grandi personaggi si accosta agli innocenti bimbi”.

Il 16 ottobre del 1968, a pochi anni dall’inaugurazione dell’asilo, si registrò un nuovo evento importante per la comunità e sempre a firma don Carlo Grangetti: l’inaugurazione della Cappella dell’Asilo infantile, intitolata a San Giuseppe. Alla costruzione della Cappella presero parte l’ingegnere casertano Renato Di Blasio e l’architetto romano Maurizio Valerio Curti, i Proff. Lino e Valeria Bianchi Barriviera e il Sig. Umberto Recalchi. Il marmo pregiato della pavimentazione fu fornito e messo in opera dai Sig.ri Ragone di Salerno; le vetrate artistiche furono realizzate dalla ditta Giuliani di Roma. Esse si compongono di quattro grandi istoriate e cinque piccole figuranti simboli eucaristici. Le prime furono donate rispettivamente dalle famiglie Cardano-Crimi, De Leo Mannato, Pia De Lieto e dalla Congregazione Suore Insegnanti di Nostra Signora. Le seconde dalle famiglie Guglielmo, Amalia, Teresa, Ileana Rossi, Nina Valentino Schiavo, Giovanni Elide Mellini, Alzini Paslini, Galfrè Marrocco. L?altare vuole ricordare la giovane Enza Pedio e si costituisce di marmi pregiati. (Enza Perri Pedio, figlia dell’Avv. Giuseppe Perri e della Dott.ssa Bianca Pedio, era una giovane diciassettenne, originaria di Potenza, in villeggiatura ad Acciaroli. Abitualmente la ragazza scendeva in bicicletta dal viale del villino degli ulivi che immette sulla nazionale 276, ma il 28 settembre di quel lontano 1964, purtroppo, perse il controllo della guida e precipitò contro il muro di una costruzione adiacente alla strada. L’impatto si rivelò fatale per la giovane. Nonostante i soccorsi la ragazza cessava di vivere rendendo inutile ogni tentativo per salvarla. Fu questo per il borgo un giorno di indicibile strazio). “Al suggestivo rito religioso fa seguito un vibrante discorso del Vescovo: la sua parola è come un inno che corre tra spazi infiniti e nel cuore degli astanti scende come un raggio di sole. Egli ringrazia il Signore per le abbondanti grazie concesse per il compimento della splendida opera, esorta i fedeli ad essere figli più amorosi della Chiesa uniti al proprio parroco e alle suore, dispensatrici di pane materiale e spirituale per l’infanzia ed infine rivolge un grazie sentito per i benefattori ed un vivissimo elogio per l’ideatore e realizzatore della cappella accennando, nello stesso tempo, alle opere che don Carlo ha in animo di fare: laboratorio, casa parrocchiale e il restauro del tempio. Un attimo di raccoglimento e poi si leva a parlare don Carlo. E’ visibilmente commosso. Rivolge frasi di ringraziamento a S.E. il Vescovo che, con la sua presenza, ha conferito alla manifestazione un significato di grande valore, indi esterna il suo riconoscimento ed il suo affettuoso pensiero a chi diede il concorso per la costruzione della cappella; un pensiero ha pure per i donatori delle vetrate e per coloro che, anche con minime somme, hanno voluto come premiarlo nelle sue laboriose fatiche e nel contempo lasciare un segno indelebile iscrivendo il loro nome sull’album d’oro giacente ai piedi dell’altare; album d’oro conservato in prezioso marmo e sempre aperto per eventuali, nuove sottoscrizioni. Riferendosi poi alle opere citate da Mons. Biagio D’Agostino egli, col suo consueto tono paterno, ha detto: -Il laboratorio continua ad essere il mio sogno. Il locale esiste, le ragazze vi sono, le suore sono felici di prestare la loro opera, ma occorre che qualcuno mi apra una porta anche stretta stretta. La casa parrocchiale non può essere una realtà se viene a mancare l’apporto fattivo di tutti onde dare l’inizio ai lavori.. La mia sola buona volontà non basta, purtroppo! Il restauro della chiesa, farò di fede su ogni umana tribolazione, è nelle mani vostre. Occorre far presto, altrimenti la chiesa corre il rischio di veder venir giù ogni cosa: soffitto, pareti ecc.”.

Il Corriere, nel marzo 1997, volle ricordare il prete di Acciaroli, come frate sorriso e come parroco alato. Primo giugno 1985: don Carlo Grangetti aveva ottantuno anni quando l’ultima ora di vita batté sul quadrante del tempo. Con lui Acciaroli vide germogliare i fiori più belli grazie alla sua instancabile opera..Quando le cose non andavano, don Carlo non perdeva la calma. Ricordo che diceva: Oggi la Divina Provvidenza ha voluto accontentare qualcun altro, ma sono certo che non mi abbandonerà. Alla Divina Provvidenza debbo molto…? E sorrideva. Un sorriso che ti conquistava, un sorriso che era lo specchio del suo essere caritatevole, del sacerdote che era ben voluto da tutti. D’estate, per i turisti, era l’uomo amabile, la guida meravigliosa. Una prova della sua indomabile indole la fornì nell’ottobre del 1962, quando, per un vile attentato, crollò l’arco della torre che del borgo rivierasco del Cilento costituiva la carta d’identità di una storia vissuta. In quella notte lontana brillarono ventotto mine. Poi si batté tenacemente per il restauro del monumento unitamente ai cittadini ed alle autorità di un certo livello nel cosmo della politica nazionale e provinciale. Passato e presente si armonizzano nell’ora in cui, nella celebrazione delle nozze d’oro del suo sacerdozio, vide intorno a sé i residenti e gente venuta da altri centri. Don Carlo aveva celebrato la prima messa nella Notte Santa del 1928 a Bisceri, ai piedi dei Cedri del Libano. La messa del cinquantenario l’officiava in riva al mare nella mitica costiera cilentana, nella sua Acciaroli. Luci e gloria di un altro Natale. In vita fu lodato ed amato, ma dopo il trapasso, fu del tutto dimenticato da chi, invece, ne doveva onorare la memoria con atti tangibili. Tempo fa si disse di voler intitolare a don Carlo una strada o il suo Asilo o la rotonda dello scalo marittimo. Non vanno dimenticate le lotte che il mensile Cronache Cilentane conduce per tale intitolazione. Per ora sembra siano parole che il vento ha disperso! Questo silenzio fa davvero male. Comunque siamo ancora in tempo…Il suo spirito è ancora qui, su questa sponda che lo vide impegnato notte e giorno per portare avanti quanto gli stava a cuore.Noi gli fummo vicini per molto tempo e del suo alacre lavoro più volte ne riportammo i risultati con reportage su quotidiani e periodici. La nobile e simpatica figura di don Carlo ci viene incontro tra danze di perle su sfondi striati di un azzurro chiaro. Un grazie sincero giunga da queste pagine a chi, come la compianta, generosa, paziente governante, signorina Anna Di Rienzo, nel corso della permanenza di questo prete esemplare, ha mostrato sostegno e aiuto costante al grande missionario.

Il 9 aprile del 1952 Don Carlo Grangetti (Padre Carlo Guglielmo Grangetti) ottenne l’onorificenza di Commendatore dell’Ordine della Stella d’Italia (già Stella della Solidarietà Italiana). Con questo conferimento si volle ricompensare Don Carlo per speciali benemerenze in ambito umanitario e nella promozione dei rapporti di amicizia e di collaborazione tra l’Italia e gli altri Paesi, nonchè nella promozione dei legami con l’Italia.

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